domenica 21 marzo 2010

Perché non ci trattate da umani.

Viviamo in un periodo storico in cui possiamo venire a conoscenza di dati una volta inimmaginabili, la tecnica e il progresso ce lo consentono.
Si sa quanto é il guadagno medio, si sa quanti sono i milionari, si sa quanti sono i miliardari, si sa a quanto ammonta la corruzione annua, si sa quanto é l' evasione fiscale, si sa quanto é il lavoro nero, si sa quanti miliardi sono all'estero, e quanti non rientreranno mai, si sa in tempo reale quante persone guardano un programma. Ma non si é mai riuscito a sapere quante persone hanno partecipato ad una manifestazione politica di destra o sinistra che sia. Con una macchina fotografica posizionata su un elicottero, credo che l' errore della conta dei presenti alla dimostrazione possa essere molto verosimile. Probabilmente a tutti gli schieramenti politici va bene che l' argomento principale subito dopo una manifestazione sia una bella lite sul numero dei partecipanti, questa lite eliminerà tutti quegli approfondimenti che un elettorato civile vorrebbe fare. Perché una volta, essendo accettato il numero delle presenze, si potrebbe discutere, sui contenuti dei discorsi dei leader, sui programmi esposti su eventuali progetti dichiarati e raggiunti, quali sono i problemi che hanno un percorso privilegiato. Tutto questo dovrebbe essere un diritto per un elettorato normale, ma credo che a loro (i partiti) vada bene che noi ci litighiamo sui numeri dei partecipanti. I numeri da loro forniti della manifestazione di ieri sono eloquenti: Gli autori dell' avvenimento dichiarano un milione di presenze, la questura di Roma 150/ mila. Inizia la rissa con insulti al questore e alla opposizione che difende l' insultato. Ma quando ci tratterete da umani!

L' ottimismo del premier.

Ora si può capire oltre all' ottimismo, anche la buona fede del Premier quando diceva e dice che il pessimismo è la rovina della ripresa. Effettivamente, Il Presidente nel biennio 2003/2005 ha visto passare il suo patrimonio da 5,9 miliardi di dollari a 12 miliardi di dollari (dati Forbes*). Recentemente nel biennio 2008/2009 ha avuto un aumento di reddito di 9.000.000 di euro. Come si fa ad essere pessimisti?
Pensare poi a quelle famiglie che sono state scaraventate dalla normalità all' indigenza, a causa a volte della perdita del lavoro di entrambi i coniugi, non si fa fatica a comprendere il loro condannato pessimismo. Ora è chiaro che il comportamento del Leader come padre di famiglia, non ha nulla da eccepire, si è anche preoccupato che il futuro trasferimento della sua ricchezza ai propri figli avvenga senza spese, avendo abolito la tassa di sucessione il 28 giugno 2001. Come pure il comportamendo del Leader nei confronti dei suoi amici, che ha lui devono tutto, ricchezza, cariche a posti prestigiosi, nomine a membri del parlamento, occupazione a mansioni per cui è sempre stata prevista una dignitosa gavetta, è chiaro che per queste persone la riconoscenza è enorme. Ma chi non vorrebbe avere come padre o amico il dottor Berlusconi, Sicuramente moltissimi. Quando però, invece che padre o amico, diventa Presidente del Consiglio, allora può essere legittimo pretendere una persona che ambisca a risolvere problemi peculiari al suo mandato.
* Rivista di economia e finanza americana, conosciuta per la stesura annuale della classifica degli uomini più ricchi del mondo.

venerdì 19 marzo 2010

la prostata.

Son quasi trent' anni che ho lasciato la mia matura giovinezza, e da quel lontano ricordo affiorano ora, talvolta, tutte le più impellenti esigenze. In particolare quelle a cui, all’epoca, non facevo caso più di tanto e che solo adesso, al ricordo, mi stupiscono per come riuscissero ad essere soddisfatte da me con una noncuranza sfacciata. Sto parlando della fame, della sete, della voglia di perdere tempo, del desiderio di incontrare amici, amiche… tutto veniva da me fatto con la stessa voracità e, ciò che più pesa oggi, con la stessa naturalezza. Come non potesse mai essere messa in discussione la riuscita di ciascun movimento, la facilità con cui mi procuravo le cose, la condivisone di tutto con gli amici.
Ogni cosa accadeva, si manifestava, si verificava secondo le mie previsioni sotto la spinta di quel, come definirlo… prurito che quando lo avverto oggi, nell’aria, emanato dai miei figli, devo essere sincero, mi dà fastidio. Intendiamoci, sono felicissimo che loro lo abbiano, mai e poi mai vorrei che qualcuno o qualcosa glielo portassero via, ma non sopporto l’idea di non averlo più io.
A voler essere precisi, tra le tante sensazioni, voglie, smanie che mi coglievano quotidianamente accavallandosi l’una all’altra fino al loro soddisfacimento… ne mancava una che, purtroppo, adesso avverto con fastidiosa regolarità, con insopprimibile impellenza: è la voglia di andare a mingere. Sì, la necessità di fare pipì è l’unica che, ancora oggi, riesce a mettermi una premura ansiosa, con l’aggravante del mio convincimento inconscio che, in caso di non ottemperanza, verrò inevitabimente castigato, da qualcuno, da qualcosa, dalla sorte, chissà. Certo, è irrazionale come timore, ma provare una voglia senza prurito, una necessità priva di brivido, il panico di un eventuale fallimento senza desiderio, sono tutte cose che mi allontanano dalle mie giovanili sicurezze.
E pensare che all’epoca stavo anche una giornata intera senza nemmeno pensare alla minzione; bastava bere poco, per quel giorno, o sudare un po’ più del solito, o vivere ad un giusto livello di umidità dell’aria per dimenticarsi del tutto di dover aprire ogni tanto la patta dei pantaloni.
Insomma, oggi vivo nel terrore di non arrivare in tempo, di farmela addosso. D’altronde i vecchi e sani vespasiani, che una volta consideravamo nauseabondi, non ci sono più. E pensare che erano sempre più puliti delle rarissime latrine che si possono, con grande fatica, reperire attualmente. Sono quelle a pagamento, scatole cubiche, di cemento, plastica e metallo mescolati insieme, mica i vecchi pisciatoi bifronte con le tettoiette a sbalzo e le grate di cortesia in ferro battuto, con motivi floreali. Oggi quelle scatole cubiche sono di un’efficianza tanto straordinaria che, nove volte su dieci non si aprono perché sono guaste e la decima… ci rimani chiuso dentro per interminabili minuti prima di riuscire, tra il panico claustrofibico che ti assale, a trovare la combinazione giusta per riconquistare la libertà oltre una porta a chiusura automatica che nessun essere umano sarebbe in grado di forzare. Io vi ho messo piede solo due volte e ci sono rimasto chiuso due volte, cioè sempre; ergo, se posso li evito.
A questo punto rimangono i bar con tre diverse varianti. La prima è quella dei bar di cui sei cliente, e nei quali il cartello posto da anni sulla porta del bagno, con su scritto NON FUNZIONA, per te non vale, ma in genere si tratta al massimo di due o tre esercizi, in genere concentrati tutti nella stessa zona, ovvero quella intorno all’isolato dove abiti o dove hai lavorato in passato.
Poi c’è l’opzione dei bar dei quali non sei cliente, e in cui il cartello NON FUNZIONA vale anche per te. Sai che in questi bar il proprietario basa un aspetto fondamentale della propria posizione filosofica ed ideologica rispetto al mondo, sul profondo concetto seguente: «Hanno mica preso il mio locale per un pisciatoio!?» e sai che, in qualche modo, ha le sue ragioni, benché a nessuno venga in mente di pisciare in un angolo ma la richiesta sia molto più di buon senso, ovvero approfittare della ritirata appositamente concepita, tra l’altro per legge, trattandosi di un locale pubblico e non del salotto di casa del gestore. Tuttavia se lì hai appena preso un caffè di cui non avvertivi il minimo bisogno, solo per la grazia di poter usare il bagno, sai che dovrai prenderne al più presto un altro, di cui avrai ancor meno bisogno, in un diverso locale, sperando che questa volta vada meglio.
Infine la terza ipotesi di bar in cui si può imbattere, quando la vescica reclama una soddisfazione poco eroica ma molto inderogabile, è quella il cui gestore custodisce gelosamente la chiave del bagno… direttamente nella cassa, in mezzo ai tagli grossi, così da poterla meglio monitorare. Costui, quando il malcapitato bisognoso di liberarsi dal gravame liquido chiede di poter accedere al bagno, afferra la chiave con gesto lento e plastico, rotea il braccio in maniera plateale e vistosa come a voler avvertire tutti gli astanti della sua magnanimità e dell’insopportabile richiesta che gli è appena stata fatta, infine inizia a “locciare” la chiave, tenendola tra due dita dalla targhetta di plastica con su scritto, in grande e a pennarello, WC. La parte della chiave propriamente detta, ovvero quella ferrosa, con la capocchietta piatta e circolare e il suo prolungamento liscio sopra e zigrinato sotto, prende ad ondeggiare in modo vigoroso e scomposto, magari tintinnando se è accoppiata ad una consorella di qualche ripostiglio e facendo voltare verso il bancone anche quei pochi che fino a quel momento non si erano accorti della scena. E il locciamento avviene davanti agli occhi di chi ha fatto la richiesta, accompagnato da uno sguardo del barista che, nei casi più fortunati, sta a significare: «Questa è la chiave. Non gliel’ho ancora data, quindi mi stia bene a sentire, se la vuole veramente: si ricordi di chiudere la porta e di restituirmela». Nei casi meno fortunati il barista dirà, con voce chiara come non mai: «Dopo me la restituisce, vero?» e mentre il malcapitato si allontana verso il bagno, a capo chino, aggiungerà, a voce più bassa ma ugualmente percepibile in tutto il locale: «Non sarebbe nemmeno il primo che se la porta a casa dopo aver chiuso il bagno!» Tutti i presenti sembrano non vedere e non sentire, però avverti che vedono e sentono.
E tra questi presenti che vedono e sentono ci sono stato molte volte anch’io, tanti anni fa. Ricordo che si frequentava il bar Cucciolo e si buttava via il tempo in discussioni, in partite a carte e nel continuo tentativo di “rovinare” qualcuno, ovvero metterlo in condizioni psicologiche imbarazzanti, giusto per farsi qualche feroce risata alle sue spalle. Questo qualcuno era spesso uno sconosciuto che entrava nel bar manifestando con evidenza, per sua sfortuna palese, un certo veloce bisogno del bagno. Non ricordo se si trattava di uomini quasi anziani, solo un po’ anziani o anziani del tutto; a quell’età per noi era sufficiente avere qualche anno più dei nostri per considerare, senza alcun distinguo, tutti vecchi. E schifosi, ributtanti piscioni.
Nel caso in cui costui trascurasse il piccolo particolare di lasciare intendere al barista che dopo avrebbe consumato, partiva ineluttabile la “rovina” a cui si partecipava tutti, benché in silenzio, con gli sguardi, i sospiri, i sorrisi sotto i baffi. Il vecchio Rinaldo, il barista, che evidentemente non annoverava nella sua scala di valori la necessità di fare bella figura o di essere accogliente con i nuovi potenziali clienti, inizialmente si fingeva intento a fare dell’altro e non guardava il personaggio che cercava disperatamente di attrarre la sua attenzione, tenendosi a metà strada tra il bancone, dove non aveva intenzione di chiedere alcuna consumazione, e la strada verso il retro che nascondeva senza dubbio, nel suo pensiero, un bel bagno dove poter pisciare in santa pace. L’uomo tentava un gesto, al centro del bar, guardando in direzione di Rinaldo, e Rinaldo si chinava a prendere qualcosa, apriva e chiudeva sportelli, scompariva dietro la macchina del caffè, dava colpi di straccio anche nei punti dove di solito non gli veniva neppure in mente di mettersi a pulire, stava spesso girato verso le bottiglie come se fosse stato colto dall’improvvisa urgenza di contarle, una volta per tutte. Quasi gliene mancasse una all’appello.
In quei momenti nel bar calava un progressivo silenzio; tutti smettevano di parlare, come un sol uomo: andava in onda l'imbarazzo di questo sfortunato signore, e noi, chi roteava la testa, chi si guardava le scarpe, chi fingeva di scorrere i titoli di un giornale che non avrebbe mai letto, nemmeno dietro pagamento, per tutta la giornata.
Allora l’anziano sconosciuto, schiarendosi la voce, provava con tono affannato e impacciato a dire: «Scusi?» ma Rinaldo non sentiva. Quante erano quelle bottiglie? Ce n’era una là, lo ricordo. E l’altro, di nuovo, un po’ più forte: «Scusi?» Allora Rinaldo si voltava come chi ha sentito una voce provenire da qualche parte, ma lo faceva in direzione di qualcuno di quelli seduti ai tavolini, cioè dalla parte opposta a quella da cui era realmente giunta la voce. «Sì, dica?» chiedeva a voce alta ad uno dei quelli seduti, il quale, con gesto lento e serafico, alzava un braccio e, con l’indice della mano ben dritto indicava per lunghissimi secondi il tale che si era appellato a Rinaldo e che si trovava, indifeso e sperduto, in piedi, al centro del bar, esposto al silente, quanto ferinamente pubblico, ludibrio. C’era qualcosa di volutamente accusatorio, in quel gesto; l’anziano ora sembrava rimpicciolirsi, come volesse affondare la testa nelle spalle e lasciarvela scomparire dentro. Tuttavia, a voce sempre più impastata e confusa, riusciva a proferire: «Il bagno?» e Rinaldo, pronto: «Mi spiace proprio tanto ma devono venirlo a riparare in giornata. Si è staccata dalla catenella la manopola dello sciacquone ed è caduta nel buco, otturandolo. Siccome è una manopola piuttosto grossa, e siccome si è messa di traverso all’interno del tubo…» e lì attaccava una solfa senza fine, spiegando nei dettagli l’accaduto all’uomo che visibilmente manifestava una certa fretta di uscire alla ricerca di un altro bar e non capiva come fare per liberarsi dalle meticolose illustrazioni del guasto di un Rinaldo, per l’occasione, insolitamente ciarliero ed oratorio, perché godeva nel creare disagio a chiunque, mettendo la ciliegina dello spergiuro se qualcuno avesse fatto notare a lui che era uno stronzo, era pronto a giurare su tutta la famiglia, in particolare sulla testa del " su figliolo" che lui non pensava minimamente a creare difficolta e che comunque, se lo andassero a prendere in culo, e nel mio bagno ci va chi dico io. Il desiderio di fare bella figura non albergava nel cuore del vecchi Rinaldo. Si era capaci anche di questo. Ora ci sono io al posto di quel signore con tutta quella premura che ci faceva divertire, e che Rinaldo godeva nel trattenerlo. L'imbarazzo di quel signore era superficiale il mio è più sofferente più interiore, io, ho la sfortuna di essere sicuro di sentire quello che il barista sta pensando, quello che tutti i presenti stanno pensando, e la consapevolezza di averlo pensato anch' io non mi è per niente di aiuto, e sento chiaramente che il barista pensa, dandomi il permesso di usufruire del suo bagno: " Se è per un poco di acqua, si può fare, ma per il resto,.....non funziona bene lo scarico, non voglio poi dover pulire la merda degli altri"

Poi entri nel bagno, e quando è sporco, ti chiedi: - Non sono mica stato io -, sì però lui non lo sa. Alzi gli occhi e c'è un cartello di bellissima fattezza con l' autorevolezza di un comandamento.- Lasciate il gabinetto come vorreste trovarlo -. Hai appena fatto pipi, e avverti che è poca, perché la prostata si comporta così, sembra che stia con tutti tranne che col suo titolare. Lo sai, non perché sei un genio, ma perché ti é successo molte altre volte, che se non fai con calma, non ci riesci, essere veloce ti é impossibile, perché il tempo che determina la calma che a te serve per poter finire la pisciata, è più lungo del tempo di una normale defecazione, e fra pochissimo si ripresenterra il problema. E non puoi non pensare a quello che ha pensato il barista, vada solo se piscia, ti senti in ritardo, hai la certezza che il barista possa pensare, mi aveva detto che avrebbe solo pisciato. Vorresti portare una prova ma quale, non siamo mica fra gentil uomini che basta la parola, un barista giovane non sa mica cosa è la prostata, ti rendi conto che questa società non è atrezzata per le pisciate dei vecchi, troppo lente. Ti sembra di vedere nel piccolo cesso, quel signore che tanto ci aveva fatto divertire quarant' anni fa, e che in modo educato ti dice " guardi che pisciare con la prostata è un casino, quando esce tutti si crederanno che ha fatto una cagata esagerata, non se la preda" ci mancano anche i sogni da sveglio, preferiresti essere un cane, anche senza paletta.
Sei agitato, vorresti uscire e pagare da bere a tutti, più un sospeso come fanno a Napoli, ma quando il barista ti dice tutto a posto, e per un attimo si distrae, in quel momento per te la tua presenza li é insopportabile, il barista sta dando un resto impegnativo, è il momento, ringrazi e scappi, e non consumi come avresti voluto, stando attento a non travolgere nessuno, perché hai una gran voglia di sparire.
Piano piano ti accorgi che per andare in certi punti della tua città, il percorso che scegli, è già stato scelto dalla tua prostata, sai perfettamente dove sono ubicati gli ultimi vecchi e generosi vespasiani, dove i bar amici della tua prostata, dove gli eventuali angoli che in caso di bisogno ti fanno sentire un po cane, questa involontaria attenzione ti permette di evitare quegli imbarazzi che già conoscevi quaranta anni fa, ma mai potevi immaginare che si sarebbero presentati in modo così imbarazzante.
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Marco Grasso

sabato 13 marzo 2010

siamo in un brutto momento.

Quando ci renderemo conto che questo periodo storico ha fatto disastri quanto una guerra, con danni immensi che hanno minato: Finanza Pubblica, morale, e onestà individuale, di quasi tutta la popolazione attiva, facendo diventare "sistema " la corruzione, sarà sempre tardi. Il nostro nemico é sempre stato dentro i nostri confini. La maggioranza della classe politica, imposta solo dai leader politici, che ha operato solo per il raggiungimento degli obiettivi indicati dal "capo" dovendo solo a lui essere riconoscenti. Per gli eletti, più giusto dire nominati, l' unico e vero artefice della favorevole posizione da loro raggiunta politicamente è e rimane solo il proprio leader politico. Forte del più sprezzante adagio politico, tanto orrendo quanto vero, " se tutti sbagliano nessuno sbaglia". Quando poi emergono fatti di normale consuetudine come la vendita di firme per la presentazione delle liste ad ambo gli schieramenti, allora siamo proprio alla disperazione. L' unica istituzione deputata a porre rimedio a questo comportamento socialmente vergonoso è la sempre insultata Magistratura, che come niente si troverebbe a dover rimandare,(almeno così pare nelle pratiche effettuate dai venditori di firme) buona parte delle elezioni, con tutto lo sconquasso che dovremmo subire come paese non colpevole. Questo sarebbe il periodo che un normale elettore dovrebbe dedicare al confronto dei programmi delle diverse componenti politiche, al modo con cui queste dovrebbero impegnare risorse, nostre, su un settore piuttosto che su un altro, insomma il colloquio fra elettori e futuri eletti, prassi normale vorrebbe un rapporto completamente diverso da quello che sta accadendo. Quando poi l' Europa ci chiederà conto, come lo sta facendo ora con la Grecia, che per continuare a stare nell' Unione occorrono provvedimenti, che solo i lavoratori e pensionati possono sopportare, perché tutti i ricchi avranno portato i soldi al sicuro. Allora tutti diranno che loro lo avevano detto, forti di un altro adagio che se tutti lo ricordano tutti lo avevano detto; che questa situazione è colpa speculare; La destra la darà alla sinistra e la sinistra la darà alla destra. E allora mi verrà in mente il mio amico preside quando dice che ci vorrebbe un patto ventennale per riformare e finanziare la scuola,in modo normale per ottenere una classe dirigente sana.
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