Giuse, da quando hai ottenuto il recente, fantastico, risultato
elettorale ho iniziato a inviarti delle lettere per manifestare
apertamente, ed in modo entusiastico, il mio euforico consenso. Per la prima
volta avvertivo come certamente raggiungibili i due obiettivi più importanti di
cui la nostra Nazione aveva ed ha
bisogno: togliere il regime di nomina che tutti i partiti usano per controllare
i loro parlamentari e promulgare una legge seria sulla corruzione.
Questa situazione mi rendeva ottimista, soprattutto perché il tuo
successo rappresentava un motivo di orgoglio per un intero gruppo di ragazzi di
quaranta o cinquant’anni fa. Tu, Giuse, che hai trascorso la giovinezza in
piazza Martinez, a Genova, insieme a tanti altri della nostra generazione, hai reso ai miei occhi questo luogo ancora
più magico; dopo la tua affermazione così perentoria e inimmaginabile, hai
fatto sentire partecipi di un sogno molti di noi, che percepivamo come
nostra almeno una minima parte del tuo
trionfo, della riuscita di un personaggio così incredibile, pulito, utile che
si presentava alla ribalta della storia recentissima di un’Italia scassata con
le credenziali delle idee chiare ed oneste, le uniche in grado di farci uscire
dalle secche della decadenza civile,
morale e politica. Io avvertivo in te addirittura la superiorità
rispetto alle parti sane di tutti i partiti che in anni e anni di attività non
erano riusciti a fare niente di quelle poche cose di cui aveva bisogno
l’Italia. Tu, Giuse, ci stavi riuscendo ed io mi sentivo immeritamente
protagonista, presente, vicino. Insomma: ero convinto di esserci. Ero convinto,
infatti, che tu stessi percorrendo una strada verso la soluzione di problemi ai
quali fino a poco tempo prima nessuno avrebbe osato contrapporsi.
Sono sempre stato convinto che se una persona ruba, sapendo di non
essere perseguibile, l’unica
cosa di cui potrà pentirsi quando lascerà la vita politica, sarà di
avere rubato poco. Una sana e onesta legge sulla corruzione, produce come primo
effetto l’allontanamento fisiologico di quelli che, avendo sempre rubato, scappano subito in pensione per
non dover restituire il maltolto. Quindi l’entrata in vigore di questa
legge (sempre se ben fatta) avrebbe terrorizzato i nuovi arrivati e
portato per la prima volta alla riduzione di quella vergognosa cifra di ruberia
pubblica che la Corte dei Conti ha quantificato, negli ultimi
tempi, sui 60 miliardi all’anno, che rappresentano i “compensi” aggiuntivi
pretesi dalla nostra classe
politica/dirigente per il proprio lavoro di spendere i soldi della
collettività.
E tutti finalmente lo percepiranno quando finalmente sempre la
Corte dei Conti si incaricherà di
stabilire di quanto sarà il risparmio sociale annuo per la “ non percepita
corruzione” a causa della promulgazione di questa sana legge di cui nessuna
parte politica ha mai sentito il bisogno.
L’altra legge, di cui si avvertiva e si avverte l’urgenza, è una
radicale riforma del sistema
elettorale che cancelli per sempre devianze come quella del
"porcellum"; tale aberrazione permette di avere un parlamento
suddito di chi ha nominato i suoi membri. Tutta l’attuale classe politica, che
da questa anomala legge trae immensi vantaggi, evidenzia una
malcelata felicità nella non soluzione di questo problema, come del
precedente. Facciamo un esempio vicino nel tempo: Roberto Della Seta sarebbe
stato rieletto con il triplo dei voti per il suo impegno contro l’inquinamento
di Taranto se gli fosse stato possibile presentarsi nella ultima tornata elettorale;
invece fu escluso dal partito, per soddisfare le esigenze della famiglia Riva
e, proprio e solo per questo, non mise più piede in Parlamento.
Queste due deficienze, che sono e rimangano mancanze democratiche,
cioè la corruzione e il sistema di votazione gestito dai partiti, avevano fatto
la fortuna dei nostri
espertissimi regimi dell'ultimo ventennio, perché ad ogni minimo
turbamento dei nominati che potesse influenzare l’oleosità del sistema, sarebbero stati
immediatamente sublimati alle successive elezioni; senza che, per questo,
nessuno dovesse mai rendere conto a nessuno, sia a destra che a sinistra.
Con te, Giuse, in merito a queste poche e fondamentali cose,
eravamo a un passo dalla storia. A un
passo dall’azzeramento dell’humus su cui cresceva e gongolava il nostro
precisissimo sistema consociativo che accomuna governo e opposizione; questo
humus, con una serie di giusti interventi sarebbe sparito completamente e per
sempre!
Il potere per arrivare a tanto, Giuse, tu lo avevi intelligentemente
acquisito con la trasformazione dei fans delle tue perfomances
artistiche e della tua personalità effervescente e lucida, in seguaci
convinti, i quali avrebbero ben presto aumentato il proprio numero costituendo
un blocco di consenso elettorale mai visto in così poco tempo, e di gran lunga
superiore a quello di partiti di
antica tradizione e di sofferenti
storie pluridecennali. Ora, avendoli coinvolti in un movimento, tu avevi le
chiavi del giochino in mano; infatti, con tali presupposti, i parlamentari del
Partito Democratico avrebbero avuto due possibilità per sopravvivere: o fare
finalmente quello che dicevi tu, e rendersi davvero partecipi della storia, o
andare avanti con le solite ammucchiate (le “grandi intese”) finendo per discutere
all’infinito dei problemi di Berlusconi. Tu, Giuse, eri insomma l’unico che non
aveva nessun interesse ad
accordarsi con i paladini della consuetudine malata del ventennio precedente,
perché il cambiamento lo avevi prodotto tu ed era inevitabile che lo
dovessi anche gestire. Lo sapevano, quelli del PD, e lo avrebbero obtorto
collo prodotto e subìto, magari spacciandosi poi per gli artefici dello stesso
cambiamento. E poi cosa importava, a fronte dei risultati raggiunti a vantaggio
di tutti? Questo evento sarebbe stato un
nobile obiettivo raggiunto, per una volta, da una intelligente politica.
Invece i fatti si sono sviluppati in un modo talmente dissonante,
offensivo e deludente, per me e per una parte dei tuoi elettori, che non era
pensabile fosse stato attuato dal Grillo da me e da questi conosciuto. Per
armonia io, inizialmente, cercavo di temperare dentro di me la delusione e
darmi diverse spiegazioni dell’accaduto. Non essendoci riuscito ti ho scritto
dicendoti che la gente che incontravo, e che ti aveva votato, non capiva e non
condivideva il motivo per cui non volevi fare un governo (con qualunque tipo di
appoggio, anche esterno) che consentisse però il raggiungimento dei due
obiettivi cardine per la nostra politica, senza i quali non si va da nessuna
parte. I numeri c’erano, non dimenticarlo mai. In quel momento nessuno sarebbe
stato in grado di imporre a te e a una valanga di elettori modifiche non
gradite al “nostro” programma. Non ne avevano nemmeno la forza, ormai.
Tu mi hai telefonato due giorni dopo la mia ultima lettera e non
mi hai dato neppure l’opportunità di controbattere alle tue veementi
rimostranze. Era un monologo. Il tono era quello arrogante di chi parla con i
“minimi”, di chi parla con “chi non
conta”, di chi parla con chi deve stare solo a sentire. Dicevi che non avevo
capito nulla e pensavi di convincermi. Non ci sei riuscito. Ti è parso normale
impormi di comunicare alle persone “che parlavano con me” (come se il mio
pensiero non contasse ed io fossi solo un portavoce senza cervello) che non
avrebbero più dovuto votarti, perché quello che non riuscivi a fare, con quasi
il 30 % dei voti, lo avresti fatto in seguito con il 100% dei voti. Il tuo
delirio, da comico questa volta involontario, non ti faceva più tener conto dei
numeri. Ti sentivi superiore anche alla matematica. In quel momento ho avuto
contezza dei tuoi cedimenti, ho misurato
e soppesato i tuoi limiti. I limiti di una persona brava, geniale, unica,
fortunata ma che conosce la politica come un gatto può dirsi esperto di
filologia romanza. Tu, Giuse, non conosci la politica. Conosci solo il
successo. Tu non pensi agli obiettivi perché non hai obiettivi, non li hai mai dovuti riconoscere, definire,
inseguire, raggiungere. Tu, agli obiettivi, ci sei sempre stato dentro, te li
sei trovati così, come uno si trova i piedi in fondo alle gambe. E l’Italia
avrebbe proprio bisogno di un paio di piedi per cominciare a camminare; ma tu
non sai come si fa a costruire qualcosa che non esiste, perché conosci solo
quello che la sorte ti ha sempre concesso senza lasciarti nemmeno il tempo
necessario per desiderarlo. La tua è un’autostrada tutta dritta, priva di
curve, priva di code, su cui corri da
solo e alla fine non paghi nemmeno il pedaggio.
Hai
avuto la sorte di appartenere a un gruppo di miliardari senza macchia, assieme
a pochissimi imprenditori, che hanno sempre lavorato, con onestà e con
successo, senza nessuna possibilità di
essere ricattati. Siete diversi, tu e quegli altri, perché siete semplicemente
i migliori! Nel tuo caso i soldi ti son sempre stati dati da persone contente
di pagare il biglietto, anzi, pronte a sentirsi fortunate di essere riuscite a
comperarlo e felici di trascorrere due ore in compagnia della tua arte e della
tua intelligenza. Ragion per cui la tua ricchezza è comunque
pienamente meritata.
Poi sei
entrato in politica: il risultato è stato impressionante, abbacinante e
forse fuorviante anche per me.
Ebbene
Giuse, io non ricordo di avere provato delusione più grande di quando sono
riuscito a constatare che eri tu quello che non stava più capendo nulla di ciò
che il destino lo aveva chiamato a fare! Ripenso a tutte le e-mail che ti
ho spedito: prima di congratulazioni, poi di felicità e speranza, infine di critica
e di delusione estrema.
Non ti
perdonerò di avermi fatto assistere ai penosi collegamenti in streaming (che io
ho visto in televisione ma che hanno mostrato di essere ugualmente figure di
merda… anche se si chiamano “streaming”)
di tuoi eletti che stavano eseguendo confusamente i compitini loro assegnati
dall’alto (che non è mai stato così penosamente basso) mandante politico. I
compitini, dicevo, con lo “Smacchiatore di giaguari”.
Tu
avevi l’obbligo morale di andare a parlare con Bersani! Tu dovevi anche correre il rischio di essere
convinto! Tu rappresentavi le esigenze
di dieci milioni di elettori. Possibile che nessuno tra chi ti era vicino
ha osato dirti: “Ma che cazzo stai combinando, Giuse?” Hai avuto forse
vergogna, forse paura o addirittura terrore. Perché non ti sei assunto le tue
responsabilità! E la colpa va ricercata
all’origine, cioè in quell’autostrada senza pedaggio di cui sopra, quella senza
code né curve, senza obiettivi, e senza problemi, e se ci sono c’è incorporata
la miglior soluzione; l’autostrada dei “fortunini”, dei “culi larghi”, di quelli che gli van tutte dritte. Buon per
loro. Ma non possono e non devono rappresentare nessuno. Farebbero solo dei gran danni, come è
accaduto a te.
Hai
combinato un disastro, Giuse, lasciando trapelare la speranza della via giusta
da intraprendere per poi avvitarti su te stesso, sulla tua incapacità di
lottare per raggiungere obiettivi che, evidentemente, non ti riguardano. Hai
ammazzato l’unico sogno che ancora potessero nutrire tutti quelli che i
piccoli, mediocri, insignificanti obiettivi della loro vita se li devono sudare
facendo muro contro i privilegiati e i prepotenti, cioè coloro che l’onestà la
prendono a dileggio.
I
partiti rappresentano milioni di persone, e per chi li gestisce è doveroso avere obiettivi, non può
non averli; non averne è semplicemente da sciocchi, e gli sciocchi fanno i
disastri più grandi! È la frequentazione di quella felicissima autostrada
che ti e ci ha rovinato. La mancanza di obiettivi, l’inesistenza, per te
congenita, di questi ti ha mandato a sbattere, e forse non te ne sei
neppure accorto!
Giuse,
dai retta a me torna a fare teatro, che
sei e rimarrai il migliore, e lascia la politica agli altri. Tra l'altro fra i
tuoi del Movimento qualcuno bravo si è intravisto. Goditi il tuo meritatissimo
successo ma non utilizzarlo mai più per offendere quei dieci milioni di
sfortunati.
I tuoi
sguarniti elettori ( perché abbisognano di mezzi, che non vedo, per raggiungere
i loro obiettivi) che di successo se ne intendono poco, ma di vita grama sono
attenti conoscitori, le scelte dei ricchi le hanno sempre subite, come questa
ultima furbata dell’abolizione dell’Imu che li ha chiamati a finanziare quella
parte di costo della politica che
avrebbero dovuto pagare i propretari di case. Il tutto naturalmente, in
rigoroso silenzio.
Pensa a
nuotare, divertiti, vai in vacanza, vai dove diavolo ti pare prima che mi venga
(e come a me a tanti altri) la voglia prorompente di mandarti dove tu hai
preteso di mandare un sacco di gente negli ultimi anni soltanto urlandoglielo.
Avevi la possibilità di spedirceli davvero, con una spintarella e con un
semplice sussurro. Hai invece voluto continuare a gridare anche quando non ce
n’era più bisogno per mascherare la tua inconsistenza. Alla fine hai mandato
veramente affanculo soltanto un sogno, che magari non era nemmeno tuo. Era il
nostro. Di tuo c’era solo il trionfo.
n
Marco Grasso