venerdì 28 marzo 2014

Cosa hanno in più dei nostri politici, quelli di Gran bretania, Olanda, Danimarca, Canada e Australia che hanno preso una diversa e più intelligente decisione?

L’incredibile storia degli F35 e gli incredibili sperperi dell’Italia


09 lug 2013 Scritto da C.Alessandro Mauceri 6 Comments


Qualche mese fa, durante il periodo in cui governava Mario Monti, scoppiò una grande polemica sul fatto che l’Italia aveva deciso di acquistare dalla Lockeed 121 aerei da caccia, gli F35. In realtà, i motivi del dissenso erano molti. Innanzitutto il fatto che, in un momento di crisi, come quello che stava attraversando il nostro Paese, era stato deciso di spendere una somma enorme per rinnovare la flotta aerea.
F35. Foto tratta da  da www.ecquologia.com
F35. Foto tratta da da www.ecquologia.com
Anche sulla scelta degli F35, poi, erano sorti molti dubbi. Perché l’Italia aveva dovuto acquistare aerei prodotti negli Stati Uniti d’America pur avendo sul proprio territorio una delle maggiori aziende produttrici di aerei militari, la Aermacchi, che produce velivoli estremamente competitivi? Tanto più che Aermacchi è parte del gruppo Finmeccanica, azienda a compartecipazione statale e che l’acquisto di quegli aerei avrebbe potuto avere effetti positivi, sia diretti che indiretti, su tutto il territorio.
In pratica sarebbe come se un contadino che coltiva mele decidesse di andare a comprarle dal fruttivendolo pur avendo le proprie appese all’albero!
Monti allora decise di ridurre l’ordinativo per l’acquisto dei velivoli a 90. In molti pensarono che forse la scelta del Governo era stata fatta per evitare ulteriori polemiche circa le enormi spese destinate alla difesa, oppure che si fosse trattato di una sorta di rinsavimento della classe politica nazionale a seguito del peggioramento delle condizioni di vita degli italiani. Oppure, ancora, che tale riduzione fosse stata suggerita dall’Unione Europea e inserita nelle misure anticrisi per salvare il nostro Paese.
Ma col passare dei mesi i dubbi sulle scelte prima del Governo Berlusconi, poi del Governo Monti e infine del Governo Letta non sono diminuite, anzi semmai sono cresciute. Sì, perché nel frattempo sono state diffuse informazioni circa gli F35 che prima non erano state diffuse adeguatamente. Perché la storia degli F35 (come riportato da Investireoggi) pare risalga addirittura al 1993 (già questa data lascia comprendere come i nostri governanti abbiano fatto un affare comprando “l’ultimo” ritrovato della tecnologia aerospaziale).
Fu in quell’anno che, dopo la fine della “minaccia” URSS, gli Stati Uniti d’America decisero che era ora, dopo decenni di spese folli dovute alla ITALY-POLITICS-GOVERNMENTguerra fredda, di cominciare a risparmiare sugli armamenti. L’allora Presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, chiese quindi che tutti i servizi aerei americani venissero unificati nel programma JAST (Joint Advance Strike Tecnology), inclusi ovviamente i progetti per creare aerei da combattimento.
Nel 1996 il programma JAST cambiò nome in JSF, Joint Strike Fighter, e si decise che era il momento di passare alla produzione. Tra le proposte presentate ne furono scelte due: una della Boeing, con il modello chiamato X-32, e una della Lockheed, che proponeva l’ X-35. Dopo una dura battaglia (visto che si trattava di uno scontro tra titani) fu scelto il progetto della Lockheed, che prese il nome definitivo di F-35.
Sì, ma con tutto questo che cosa c’entra l’Italia? C’entra, eccome. Infatti, partner del progetto per la realizazione dell’F35 fu scelta l’Italia, con un impegno economico (allora) di 1 miliardo di dollari. Erano gli anni del Governo Prodi, il quale, invece di promuovere lo sviluppo delle aziende italiane, decise di partecipare al progetto di realizzazione dell’F-35.
Nel 1996, quando Ministro della Difesa era Giulio Andreatta, il progetto fu approvato sia con i voti sia del centrodestra che con quelli del centrosinistra (i più attenti lettori noteranno che quando si tratta di scelte importanti in Parlamento non si pensa neanche al termine opposizione: partecipano tutti e di buon gusto).
L’impegno del nostro Paese fu poi riconfermato durante il Governo D’Alema che, in Commissione Difesa, potè di nuovo contare sull’approvazione all’unanimità di Forza Italia, dell’Ulivo e della Lega Nord.
berlusconiAnche durante il successivo Governo Berlusconi, nel 2002, quando alla Difesa c’era Antonio Martino, la decisione di partecipare al progetto fu confermata. E così ancora nel 2007, durante il secondo Governo Prodi, quando fu richiesta la firma definitiva dell’accordo per partecipare alla “Fase 2”, ovvero alla fase di costruzione del velivolo, che avrebbe impegnato l’Italia economicamente fino al 2046. E così via attraverso tutti i Governi (è bene sottolineare TUTTI) sino ad arrivare al Governo attuale.
Ora, al di là delle motivazioni che avrebbero dovuto giustificare una simile scelta (in molti hanno contestato che, secondo alcuni, vi sarebbero errori addirittura pacchiani sia circa il numero degli aerei in dotazione dell’esercito italiano, sia in merito al fatto che fossero obsoleti), sin dall’inizio emersero alcuni problemi per la relazione dei nuovi caccia. Problemi che, per chi ha lavorato alla progettazione, come l’Italia, avrebbero dovuto essere evidenti fin da subito.
Infatti, sebbene la Lockheed Martin sia, con 45 miliardi di dollari di fatturato (dato 2009) e 140.000 dipendenti, un colosso mondiale, il progetto per l’F35 si rivelò fallimentare sin dall’inizio. Ritardi, costi più alti del previsto e in continua crescita, fecero somigliare il progetto dell’F35 il tipico progetto per l’esecuzione di lavori pubblici in Italia: alla fine il costo medio ad aereo è aumentato dell’81%. E la fase iniziale, quella cofinanziata con i soldi dei contribuenti italiani, è passata dai 20 miliardi previsti ai 40 miliardi effettivi. Aumenti che hanno reso necessario, in America, il ricorso alla legge Nunn McCurdy, che impone una riapprovazione politica dei programmi militari nel caso in cui il costo superi del 25% quello previsto all’origine.
La vicenda degli F35 è diventata ormai un palese fallimento. Tanto che, a gennaio, Robert Gates, segretario della difesa americano, ha detto cheeuro-affari gli USA non escludono che “se entro due anni i problemi tecnici agli F35 non saranno risolti il Governo abbandonerà il progetto”.
L’Italia aveva dichiarato, nel 2007, di voler comprare 120 aerei, per una spesa stimata, all’epoca, in 7 miliardi di euro, ma questa cifra sembra destinata ad aumentare. Del resto, come fare a rinunciare all’acquisto di ciò per cui si è speso tanto?
Intanto molti dei committenti (tra cui Gran Bretagna, Olanda, Danimarca, Canada e Australia), nel frattempo, vista la scarsa qualità del prodotto e i suoi costi, hanno rinunciato all’acquisto. Del resto, come dargli torto visto il giudizio della RAND Corporation, società di analisi strategiche che collabora col Dipartimento della Difesa USA, che ha criticato l’F-35, affermando che in un conflitto reale non sarebbe in grado di competere con uno dei diretti concorrenti, il cacciabombardiere russo Su-35.
Poi, anche sotto il profilo economico, pare che l’F35 non sia competitivo, tanto che la stessa Marina americana ha stimato che i costi di manutenzione degli F35 saranno del 30-40% superiori a quelli dei caccia attualmente in uso. Tanto elevati da poter diventare eccessivi anche in considerazione del fatto che, a fare concorrenza a giorni sarà anche la Cina con il suo nuovo caccia di quinta generazione Jian-31 (J-31). E ciò anche grazie alla collaborazione tra Cina e Russia. Nella versione sperimentale del J-31, infatti, pare vengano utilizzati motori russi (RD-93).
Tornando ai motivi che, sin dal primo momento, avrebbero dovuto far sì che l’Italia non partecipasse a questo progetto, ci sarebbe addirittura anche l’articolo 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”
Giulio Marcon, deputato di Sel, ha detto: “Si tratta di aerei che non servono per le missioni di pace e per difendere il Paese, ma solo per fare la guerra e oltretutto per portare ordigni nucleari”. Insomma, secondo la nostra Costituzione, il nostro Paese dovrebbe dotarsi di armi “da difesa” (come gli Eurofighter, scartati pur essendo più economici e privi di difetti) e non di aerei d’attacco come gli F35 che possono addirittura essere dotati di missili a testata atomica.
Forse è per questo motivo, oppure per il fatto che nel frattempo è stata diffusa la notizia che l’F35 sarebbe “difettoso”, avendo problemi di volo in certe condizioni meteorologiche o per chissà quale altro motivo, fatto sta che Monti, lo scorso anno decise di ridurre il numero di F35 da 131 a 90. Naturalmente omettendo di dire che il costo di questi aerei nel frattempo era cresciuto da 80 a 127 milioni cadauno e che, quindi, la manovra di Monti non è servita affatto a ridurre i costi (chi ne volesse la prova faccia il prodotto nei due casi e vedrà che il totale è quasi uguale, anzi, semmai, è aumentato). Anzi per mettersi al sicuro le somme necessarie erano già state rese disponibili effettuando tagli al personale della Difesa. Infatti la spendig review ha previsto di ridurre il personale della Difesa 20% cioè 43.000 unità, 30 mila militari e 13 mila civili.
Nei giorni scorsi, (a fare da ciliegina sulla torta, ma, per digerire un boccone amaro come questo, ci vorrebbe ben altro) sono state diffuse altre due notizie. La prima è che, alla vigilia del dibattito parlamentare sugli F-35, il Ministro della Difesa, Mario Mauro, ha rilanciato l’ipotesi di acquistarne 131, invece dei 90 decisi da Monti. Facendo in questo modo lievitare in modo esponenziale le spese per la difesa.
La seconda, poi, ha dell’incredibile (e infatti le autorità si sono guardate bene sia dal confermarla che smentirla). Componente essenziale e insostituibile degli F35 sarebbe l’ALIS.
Ebbene ALIS è lo strumento operativo di un concetto avanzato di logistica che prevede un insieme di processi controllati da terra, chiamato “Autonomic Logistics Global Sustainment (ALGS)”. Il “Country Point of Entry” italiano dell’ALIS dovrebbe essere la base italiana di Cameri. Il problema è che il centro di comando di questo sistema di controllo degli F35, questa sorta di “grande fratello” in grado di rendere inutilizzabili gli aerei comprati dai nostri politici italiani (TUTTI) con i soldi degli italiani, è allocato alla Lockheed Martin di Fort Worth ed è sotto esclusivo controllo USA. Anche il centro ALIS di Cameri infatti sarà controllato direttamente dal Dipartimento della Difesa statunitense.
“Ci troviamo di fronte – ha detto all’Adnkronos Gianandrea Gaiani, direttore di “Analisidifesa.it”- ad un aereo che, di fatto, sarà gestito dagli americani”.
In altre parole, riepilogando, grazie ai nostri politici abbiamo speso una somma enorme di denaro che avremmo potuto utilizzare per la cultura (Pompei sta letteralmente cadendo a pezzi), per la Sanità e per l’istruzione (basti pensare ai tagli fatti dal Governo in carica). E a cosa sono serviti questi soldi? A comprare qualcosa di inutile, che funziona male e che, anche quando funziona bene, è controllata dai militari di un Paese terzo.
Del resto, come biasimarli, visto che oggi gli “strumenti per la difesa dell’Italia” servono in Iraq o in Afganistan o ad Haiti, dove si troverebbe in questo momento la nostra portaerei (ma che ci sta a fare al capo opposto del pianeta se doveva difendere l’Italia?), oppure, in Islanda impegnati nell’operazione “Cieli Ghiacciati” della NATO, (in base alla quale chi ha la possibilità di mettere assetti a disposizione di altri partner lo deve fare).
L’Italia ha già speso 2,5 miliardi in 10 anni e molti ancora dovrà spenderne. Infatti, per acqusTare 90 o 130 aerei F35 serviranno 13, 15, forse 19 miliardi di euro. Per l’acquisto di questi aerei i soldi, a quanto pare, ci sono. Mentre per non ridurre l’Iva e per restituire l’Imu i soldi non ci sono.
La domanda a questo punto è: quanti soldi sarà necessario sperperare prima che gli italiani capiscano quello che da un ventennio ormai avviene sotto i loro occhi?

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